In
questo scritto sono condensati in dodici brevi punti il ‘nocciolo
duro’ di ciò che penso dell’architettura e la ricerca di una
sintesi attorno ai valori di questa disciplina e alla sua essenza: il
nocciolo di ciò che a me interessa e colpisce dell’architettura,
con l'obiettivo di definire una base teorica per la costruzione di un
modo di fare architettura che possa essere consono al secolo che
stiamo vivendo. Questa (pur brevissima) 'teoria dell'architettura' è
elaborata soprattutto a partire dal pensiero di Peter Zumthor, dal
concetto di ‘Regionalismo Critico’ così come sviluppato da
Kenneth Frampton a partire dagli anni 70, dalle tematiche della
sostenibilità ambientale, dalla necessità di un ripensamento
dell'architettura così come espressa da Peter Buchanan dal 2012
sulle pagine dell'Architectural Review con il saggio 'The big
Rethink' (il grande ripensamento) e dagli scritti teorici di Juhani
Pallasmaa su architettura e percezione.
Bastano
poco più di dodici minuti per leggerli: un minuto ciascuno.
Molto
di più per interiorizzarli. Un'intera vita può non bastare per
applicarli.
1-
Lo scopo dell’architettura
'Architettura'
è il nome che diamo all'insieme delle sensazioni fisiche e psichiche
che proviamo per il fatto di essere in un luogo costruito dall'uomo.
L’architettura
è quindi un'arte, che pur si esprime con la pratica dell'edilizia.
Parliamo di architettura quando un edificio muove le nostre emozioni:
ci commuove e ci colpisce. Per questo motivo non sono le forme o
l’arditezza dell'opera che ci coinvolgono maggiormente, ma la
capacità dell’architettura di creare un luogo dalla forte
identità, dall’atmosfera che ci cattura e che ci regala un istante
di intensità, nel quale siamo un tutt’uno con con noi stessi e con
ciò che stiamo facendo. Scopo dell’architettura è accogliere le
nostre vite nella bellezza, nell’atmosfera più propria e più
adatta ai nostri gesti. In questo senso l’architettura è l’arte
del vivere. Non è un’arte
visiva che si esprime attraverso le forme o i materiali, ma un’arte
completa (non solo visiva), che ha come scopo il rafforzamento delle
nostre più profonde sensazioni, e il dar loro una ‘casa’ dove
crescere.
2-
Il rapporto con la storia
La
magnificenza e la grazia degli edifici del passato non finiscono mai
di stupirci. La patina che il tempo e l’uso donano loro sono una
ricchezza inestimabile. Non è pensabile riprodurre le forme e le
proporzioni del passato per cercarne le sensazioni. La buona
architettura contemporanea esprime se stessa e i valori e i bisogni
dell’uomo di oggi: senza rinunciare ad un ‘dialogo’ con
l’architettura antica da questa si distacca facendosi autonoma e
per questo autentica. Una architettura della contemporaneità
deve riuscire ad includere i temi architettonici della storia e a
ricomprenderne i valori fondanti ma a trascenderli linguisticamente
allo stesso tempo.
Un buon approccio è quello di ripartire dagli archetipi del
costruire interrogandosi sul loro significato primario, traendo forza
espressiva proprio da esso.
3-
Il senso della costruzione
Una
delle cose che ci fa innamorare di un luogo è il senso di ‘ben
fatto’, una sensazione tutta particolare che ci comunica
compiutezza, ordine, senso delle cose. Come quando guardiamo un
piccolo oggetto ben costruito, che ha dentro di sé sia la
comprensione della natura dei materiali sia la capacità costruttiva
dell’uomo. Pensate a una macchina fotografica, a una giacca di
pelle, a un mobile di legno ben lavorato, a una scarpa elegante. La
buona architettura ben costruita ci dà la stessa sensazione: le cose
sono dove pensiamo che siano, gli spazi e la luce sono giusti, i
materiali ci accompagnano con i loro profumi e la loro tattilità.
4-
Hapticity – la multisensorialità.
La
buona architettura si rivolge contemporaneamente a tutti i sensi e
'parla' alla percezione umana nella sua complessità. Recenti studi
di neurobiologia hanno evidenziato che i sensi umani sono molteplici
e vengono elaborati dal cervello contemporaneamente, in un modo non
davvero separabile. Il valore di uno spazio dipende anche dalle sue
qualità tattili, dal calore, da come riverberano il suono e le
parole, da come camminando lo sentiamo con i nostri piedi, da come ci
'stringe la mano' quando lo tocchiamo. Da come si relaziona con la
nostra corporeità e la nostra sensibilità di esseri umani
complessi.
5-
Il dettaglio
E’
la cura del dettaglio a determinare la qualità finale di un
edificio. Anche il miglior progetto, quello che nasce da un’idea
vincente, senza cura del dettaglio perde la sua forza e la sua stessa
sostanza. Come diceva Le Corbusier è dal dettaglio che si discerne
tra i buoni e i cattivi architetti. Una differenza di cinque
centimetri nello spessore di un cornicione può determinarne la
grazia o la pesantezza, a seconda.
Penso
sempre al parallelo con il gioco. Quello che distingue un gioco da un
altro sono le regole: un passaggio in avanti è permesso nel Football
ma non nel Rugby. Nel calcio cinque centimetri possono fare la
differenza tra un fuorigioco ed un’azione regolare, tra un goal e
un salvataggio in extremis.
La
regola dell’architettura è il dettaglio perché è attraverso di
esso che si esprime e si mostra nelle parti che la compongono: perché
il dettaglio funzioni bene occorre prima comprenderne la funzione
rispetto a ciò che l'edificio vuole esprimere, poi curarlo e
rispettarlo in ogni scelta.
6-
Il rapporto con il paesaggio
L’architettura
nasce in un luogo, si relaziona con un ambiente, con altri edifici,
con il paesaggio. Una buona e semplice regola vorrebbe che ogni nuovo
intervento migliori la qualità del luogo ove sorge. Come tutte le
regole semplici è di difficile applicazione. Sapersi mettere in
discussione, avere costanza e pazienza nella ricerca sono qualità
essenziali per il buon architetto.
7-
Il valore urbano e civico
Le
parole città e civiltà nascono entrambe dalla parola latina
civitas. E' davvero possibile scindere il valore civile di un popolo
dalla qualità urbana delle città dove vive? O le due cose sono
inscindibilmente legate e interdipendenti? Uno dei ruoli
dell'architettura è quello della costruzione e del rafforzamento del
valore civile del vivere umano attraverso l'incidere sulla qualità
degli spazi ove le azioni umane hanno luogo. La buona architettura
deve cercare di costruire ed integrarsi con la città, di connettersi
e di intersecarsi fisicamente con essa. L'epoca degli edifici urbani
iconici/spettacolari/isolati deve essere lasciata alle spalle.
8-
Il regionalismo critico
Il
rapporto con il luogo non è solo percettivo o sociale ma anche
culturale. Un buon edificio deve sapersi misurare anche con la
cultura locale. L’uso dei materiali, la reinvenzione critica delle
tipologie, l’evoluzione di tecniche antiche in chiave contemporanea
sono elementi che danno profondità ad una nuova architettura e che
la radicano maggiormente nel tessuto culturale ove si inserisce.
L’approccio critico garantisce di evitare la copia o la mimica
dell’esistente.
9-
La sostenibilità
Gli
storici stanno cominciando a definire l’epoca che ci stiamo
lasciando alle spalle come ‘la parentesi del petrolio’.
L’architettura moderna è stata possibile grazie alla grande
abbondanza di combustibili fossili e dei loro derivati enormemente di
più che non dall’invenzione dell’acciaio e del cemento armato.
Trasmettere
la cultura alle prossime generazioni significa essenzialmente
trasmettere loro tutto ciò che sappiamo su cosa voglia dire essere
umani. Non è quindi pensabile poter trasmettere loro una cultura
senza che questa sia sostenibile, per il presente e per il futuro.
Gli
anni che stiamo vivendo e quelli che verranno sono cruciali rispetto
ad un radicale ripensamento in chiave di sostenibilità della
creazione dell’architettura. Non solo in termini di efficienza
energetica, ma di riciclabilità, rinnovabilità dei materiali, basso
impatto di produzione, durata e ciclo di vita. Un approccio critico e
regionale a questi temi consente grandi potenzialità rispetto alla
creazione di una architettura che sia vera base culturale condivisa
sulla quale si sviluppa la vita umana, intesa come insieme di
relazioni con la natura e la comunità.
Innamorarsi
del luogo dove viviamo è condizione necessaria per desiderare che
questo luogo si conservi nel futuro.
10-
La percezione nel tempo
Un
buon edificio cresce con le persone che lo abitano, si arricchisce
dei loro contributi, dei loro oggetti e delle loro abitudini. Un buon
edificio accoglie la vita di chi lo abita e non detta regole
inopportune. Si arricchisce anche dei piccoli graffi, dell’usura
delle maniglie e dei corrimano. Silenziosamente sa raccontare la
storia delle persone che lo abitano e lo vivono e da questa trae
ricchezza.
11-
L’importanza della rivelazione
L’architettura
autentica ci regala sempre un’emozione nuova, inaspettata: ci
rivela uno stato d’animo, una possibilità che era già in noi ma
che non conoscevamo o non sapevamo di avere. Quando l’architettura
funziona bene fa proprio questo, influenza positivamente la nostra
vita donandoci delle libertà e degli aspetti di noi stessi che non
conoscevamo ancora: il regalo della bellezza inaspettata è un dono
di libertà, che una volta scoperto può rimanere con noi,
accompagnandoci.
12-
Il ruolo culturale dell’architettura
Nella
nostra epoca dell’effimero il ruolo dell’architettura è un ruolo
di resistenza. La buona architettura ha ancora la capacità di
trasmettere l’importanza della durevolezza e del mantenere un
valore. Un buon edificio medioevale, rinascimentale, ottocentesco,
postbellico o contemporaneo rimarrà tale per sempre: l’architettura
vera non passa mai di moda e non si cura delle mode.